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ASIS ITALY

L'anno che verrà (di Samuele Caruso)

22/1/2021

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Caro amico, ti scrivo, così mi distraggo un po'
E siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò
Da quando sei partito c'è una grande novità
L'anno vecchio è finito, ormai
Ma qualcosa ancora qui non va

Si esce poco la sera, compreso quando è festa
E c'è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra
E si sta senza parlare per intere settimane
E a quelli che hanno niente da dire
Del tempo ne rimane

Ma la televisione ha detto che il nuovo anno
Porterà una trasformazione
E tutti quanti stiamo già aspettando

 
La canzone, scritta da un indimenticato Lucio Dalla usciva a febbraio 1979,  consacrando il cantante tra i grandi  della musica italiana.
Qualche anno fa un bell’articolo di Rock.it  leggeva commentando il testo di questa canzone, il peso di un periodo conosciuto come “anni di piombo”.
Scritta in un 1978 pieno di giornate buie (il delitto Moro, gli atti di  terrorismo, la morte naturale di Paolo VI e quella più chiacchierata del suo successore Giovanni Paolo I,  le dimissioni del Presidente Leone, sospettato di corruzione)  l’anno che verrà" non concludeva solo l’LP in cui era inserita (Lucio Dalla), ma concludeva idealmente gli anni '70.
Secondo l’autore dell’articolo, Lucio Dalla quando scrive i versi "Si esce poco la sera compreso quando è festa / e c'è chi ha messo dei sacchi di sabbia vicino alla finestra" allude alla paura della violenza terrorista e criminale che in quel periodo tempi  portò molte persone a chiudersi letteralmente in casa, fatto questo raccontato da molti film dell’epoca.
"L’anno che verrà" interpretava  un sentimento diffuso tra gli Italiani, ovvero la stanchezza  per il clima di violenza e  per le difficoltà economiche in cui riversava l’Italia.
Grazie anche all’impegno di indimenticati uomini delle forze dell’ordine (Carlo Alberto Dalla Chiesa in testa e con lui tanti amici più o meno noti della famiglia professionale della sicurezza) gli anni 70 sono passati ed hanno lasciato il posto agli anni 80 che tutti  in Italia – chi per esperienza, chi per mito – ricordiamo con tutt’altra memoria.
Sentendo la canzone adesso, in una playlist su Spotify, il testo suona  diverso, ma sempre ironicamente attuale…stiamo tutti guardando  il mondo dalla telefevisioni e dai computer  delle case e degli uffici in cui ci siamo rifugiati; abbiamo messo “protezioni” alle finestre  e… di sicuro “si esce poco la sera, compreso quando è festa.
Stiamo aspettando che l’anno nuovo ci porti una trasformazione, ma  ognuno di noi con il proprio impegno quotidiano a garantire la sicurezza, sta già  mettendo le basi per sconfiggere questo nuovo impalpabile nemico.
Insieme alla speranza di uscire da questa crisi ed alla certezza  del contraccolpo economico l’anno che  verrà  vede molte altre crisi non risolte affollare lo scenario mondiale: l’emergenza climatica sempre più cogente, il probabile esacerbarsi dello scontro economico tra Usa e Cina, le incertezze di una  Brexit  ora certa, la partenza di una nuova presidenza Americana cosi divisa da sembrare italiana, le tante “piazze” che, passato la fase di chiusura, rischiano di infiammarsi nuovamente in tutto il mondo.
La nostra professione verrà messa alla prova: la resilienza e la sostenibilità delle nostre aziende di cui tanto si è parlato in questi anni costituiscono il banco di prova della nostra professione.
Solo, preparando le nostre aziende a resistere, potremo garantirne la sicurezza e  contribuire alla rinascita del Belpaese  dopo questa grande crisi infinita, per uscirne  in piedi, più forti. Avanti tutta!
 
“L'anno che sta arrivando tra un anno passerà, Io mi sto preparando, è questa la novità”
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Cosa aspettarsi dal 2021 nell'ambito della Retail Security? (di Andrea Zanchini)

21/1/2021

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Il 2020 è stato un anno inedito per il retail, con l'epidemia da COVID-19 che ha ridotto i budget a larga parte degli operatori del settore e contemporaneamente ha posto ai security manager nuove sfide per continuare a operare garantendo la sicurezza del personale e degli asset aziendali. Se il contingentamento degli ingressi e i controlli della temperatura hanno ridotto in diverse realtà i casi di taccheggio, si sono anche registrate nuove modalità di rapina, come i diversi casi in cui i malviventi hanno approfittato dell'obbligo di mascherina per nascondere la loro identità. A questo vanno aggiunti i nuovi rischi derivanti dalla crescita dell'ecommerce e delle relative nuove modalità di acquisto "ibride" (buy online, pick-up in store oppure buy online, return in store).   
Quali saranno i principali trend e i temi della retail security nel 2021? L'articolo Rethinking Retail apparso sulla versione cartacea di Security Management di Novembre 2020 fornisce 3 punti chiave: 
  • Il trend di crescita dell'ecommerce continuerà e con esso anche i rischi di frode ai danni sia dell'azienda che dei consumatori "legittimi". L'articolo E-commerce Grows and Risk Follows. What to Look for in 2021 espone i principali rischi legati all'ecommerce e fornisce alcuni interessanti spunti per mettere in campo strategie di prevenzione e individuazione delle frodi 
  • L'Organized Retail Crime (ORC) continuerà a costituire un fenomeno da attenzionare per via dell'elevato valore di merce che questi gruppi sono in grado di sottrarre. Grazie a modus operandi come quello di un colpo del 15 dicembre scorso in un negozio di Parigi (qui il video e qui un articolo che spiega brevemente l'accaduto) questi gruppi sono in grado di colpire numerosi punti vendita in breve tempo e causare perdite ingenti ai retailer. Questo video contiene un'intervista a un ex membro di un gruppo ORC negli USA dove vengono spiegate le principali modalità operative. Un'analisi del fenomeno a livello italiano è invece disponibile a questo link. 
  • Il cybercrime rappresenterà una minaccia sia per gli store online, dove un hacker potrebbe sottrarre i dati personali o di pagamento dei clienti o lanciare un attacco DDOS; sia per i sistemi aziendali la cui operatività potrebbe essere compromessa da diversi attacchi, tra i quali i ransomware continuano a costituire una minaccia rilevante. Uno dei casi più recenti è l'attacco al sistema di gestione dell'inventario della catena statunitense Designer Shoe Warehouse (qui un articolo che approfondisce il caso). ​
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10 aree di crisi da monitorare nel 2021 (di Nicola Bressan)

20/1/2021

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Il 2020 si è chiuso con un grande conflitto al quale tutti siamo, improvvisamente, diventati protagonisti: la lotta al Covid19. La speranza, già arrivata a dicembre, è quella del vaccino che, seppur arrancando davanti a ritardi, tagli e attese di autorizzazioni, sembra correre verso la campagna di massa. Nonostante questa fioca luce alla fine del tunnel, la lotta al Covid19 resta ancora lunga da concludersi. Ma non è l’unica: ci sono almeno 10 crisi che meritano di essere tenute sott’occhio nel 2021 e che possono o trovare una soluzione o, come pare più plausibile, deteriorare ulteriormente scoppiando in conflitti in grado di catalizzare l’attenzione mondiale.
 
1)AFGHANISTAN
Washington si è impegnata a ritirare le truppe dal Paese in cambio dell'impegno dei talebani di vietare alle fronde più estremiste l’utilizzo del Paese per operazioni jihadiste avviando, parallelamente, colloqui con il governo afghano. Nonostante qualche passo in avanti, però, i colloqui di febbraio e settembre non hanno messo la parola “fine” alla tortuosa crisi afghana. Alla base delle difficoltà un diffuso sentimento di sfiducia mostrato da entrambe le parti: per Kabul, i colloqui andrebbero, di fatto, a delegittimare il governo e sarebbero sfruttati dai talebani per concludere l’esperienza governativa; per i talebani, invece, il loro movimento sarebbe in ascesa e i colloqui potrebbero essere un pericoloso boomerang sul appeal del gruppo. Il ritiro dei contingenti USA e NATO è fissato per maggio 2021 ma, a causa delle indecisioni mostrate sino ad ora, l’amministrazione Biden, come per giunta già dichiarato dal neo-Presidente, potrebbe mantenere qualche migliaia di soldati dispiegati, in funzione antiterrorismo, nel Paese. Potrebbero, dunque, aprirsi due pericolose strade per il futuro dell’Afghanistan. Se da un lato, un ritiro precipitoso degli Stati Uniti potrebbe destabilizzare nuovamente il governo afghano e potenzialmente portare a una guerra civile allargata e multipartitica; dall’altro, un rinvio del ritiro e una conferma della presenza militare americana potrebbe spingere i talebani ad abbandonare i colloqui e ad intensificare i loro attacchi, provocando una grave escalation. Comunque vada il destino dell’Afghanistan appare ancora, fin troppo, instabile.
 
2)ETIOPIA
A inizio novembre, le forze federali etiopi hanno lanciato, con successo, un’offensiva nella regione del Tigrè a seguito di diversi incidenti registrati presso le caserme militari del Comando settentrionale etiope, imputati dal governo centrale al Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè. Addis Abeba spera, dunque, che la sua operazione di contrasto ai ribelli ponga fine al movimento indipendentista, movimento che pone radici su un malcontento governativo che dura, ormai, da diversi anni. Ad ora, però, la situazione resta poco chiara: l’incertezza è stata inoltre, amplificata dal prolungato blackout regionale che ha compromesso la rete telefonica ed internet impedendo ogni collegamento con il Tigrè. Tuttavia, diverse ong parlano di una situazione al collasso, migliaia di morti, rappresaglie sulla popolazione civile ed epurazioni nell’esercito centrale. Le prospettive di un dialogo, stando a quanto traspare dai rapporti delle ong, potrebbero essere lontane e il futuro della regione e dell’intero Paese pericolosamente in bilico.
 
3)SAHEL
La crisi che sta travolgendo la regione saheliana non trova fine e ha portato ad un forte aumento della violenza interetnica regionale e ad un’espansione della sfera di influenza jihadista. Non è, dunque, un caso che il 2020 sia stato l'anno più mortale dall'inizio della crisi nel 2012, quando i militanti islamisti hanno invaso il nord del Mali, facendo precipitare la regione in una prolungata instabilità. L'intensificarsi delle operazioni antiterrorismo francesi hanno, però, inferto duri colpi ai militanti, colpi che, accompagnati da alcune lotte intestine tra i movimenti, sembrano aver contribuito a un calo generale degli attacchi contro le forze di sicurezza nel Sahel. Tuttavia, la controffensiva francese non sembra aver intaccato la struttura di comando jihadista che nel Sahel ormai controlla intere aree rurali e verso le quali i rispettivi governi centrali hanno perso ogni capacità di controllo. In queste zone, inoltre, le milizie etniche dei governi centrali, soprattutto nel caso di Mali e Burkina Faso, avrebbero alimentato nuovamente le violenze inter-comunitarie. Tutto ciò ha amplificato ulteriormente le proteste contro i governi centrali, considerati corrotti e incapaci di gestire la crisi saheliana: a testimoniare tutto ciò sono il colpo di stato nel Mali di agosto e le violente proteste, esplose durante l’anno passato, in Niger e Burkina Faso. In un’arena geopolitica in cui gli attori non statali jihadisti la fanno da padrona e gli sforzi militari centrali hanno esacerbato lo status-quo, la situazione di sicurezza saheliana potrebbe deteriorare definitamente nel corso del 2021 aprendo, persino, la strada allo spettro di un, nuovo, Califfato islamico.
 
4)YEMEN
La guerra nello Yemen ha causato quello che le Nazioni Unite considerano il peggior disastro umanitario del mondo, disastro in cui la pandemia da COVID-19 è entrata come spada di Damocle. I colloqui portati avanti dall’Arabia Saudita con i rivoltosi Houthi e con il Consiglio di Transizione del Sud (STC) sarebbero potuto servire come primi step per un più largo processo di pacificazione politica mediato dalle Nazioni Unite. Invece, i combattimenti sono ripresi e il Paese resta fortemente spaccato fra zone controllate dagli Houthi, dalle forze del governo Hadi e dal STC. A ciò si uniscono le sanzioni imposte dall’uscente amministrazione Trump verso il gruppo Houthi che, di fatto, pongono fine ad ogni tentativo di mediazione pacifica portato avanti dall’ONU. Il 2021, dunque, sembra destinato ad essere un altro anno cupo per gli yemeniti, straziati da un conflitto senza fine e una crisi umanitaria senza precedenti.
 
5)VENEZUELA
Sono ormai passati quasi 2 anni da quando l'opposizione venezuelana, gli Stati Uniti e alcuni paesi dell'America Latina e dell'Europa hanno proclamato Juan Guaidó a Presidente ad interim del Venezuela. Oggi, la speranza di una fine alla crisi venezuelana pare esser ancora lontana. La campagna statunitense di “maximum pressure”, che ha portato a sanzioni, isolamento internazionale, minacce implicite di azione militare e persino ad un tentativo di colpo di stato, non ha rovesciato Maduro e il suo regime. Piuttosto, tutte queste azioni lo hanno reso più forte, portando gli alleati di sempre e lo stesso esercito a radunarsi attorno al Comandante temendo che la sua caduta li portasse definitivamente fuorigioco. L’opposizione, dal canto suo, appare sempre più debole, divisa e con alle spalle un’elezione legislativa persa a dicembre (da segnalare però che quasi tutti i partiti di opposizione -tranne piccole eccezioni- hanno boicottato la tornata elettorale). La vera colpa dell’opposizione sarebbe, secondo gli osservatori, quella, da un lato, di aver sottovalutato la capacità di Maduro di sopravvivere all'isolamento internazionale e, dall’altro, quella di aver sovrastimato la volontà americana (e occidentale) di rovesciare il regime. Un nuovo governo negli Stati Uniti potrebbe, tuttavia, offrire un'opportunità di cambiamento e, anche se il sostegno all'opposizione venezuelana a Washington è stato bipartisan, l’amministrazione Biden potrebbe rinunciare alla cacciata di Maduro, giocando, invece, la carta diplomatica per gettando le basi per una soluzione pacifica alla crisi. Fondamentale, da questo punto di vista, sarà rassicurare, per il tramite della diplomazia europea, gli alleati internazionali di Maduro (Russia, Cina e Cuba) che temono l’insediamento di un governo filo-occidentale in grado di metta fine ai loro interessi economici (e non solo) nel Paese.
 
6)SOMALIA
Alcuni anni fa si parlava della Somalia come la “Doorway to Hell” ovvero la Porta d’ingresso all’Inferno. Ebbene, le ultime evoluzioni nel Paese hanno, ancora una volta, confermato la tesi del libro di Ed Wheeler e Craig Roberts. La guerra ad al-Shabaab entra, così, nel suo 15esimo anno di vita e le forze dell’Unione Africana sembrano ormai inermi di fronte all’avanzare del contingente islamista. Le relazioni tra la capitale Mogadiscio e le regioni somale -in particolare Puntland e Jubaland- sono tese e affondano le proprie radici su una generale sfiducia sulle capacità (e volontà) del governo di Farmajo di ripartire risorse e potere tra il centro (Mogadiscio) e le regioni periferiche. Tutto ciò getta nuovamente benzina sul fuoco dei clan somali, ormai in guerra dalla fine del regime di Siad Barre (1991). Al-Shabaab, intanto, resta a guardare e allarga il suo controllo nelle regioni meridionali e centrali del Paese. Il futuro somalo passerà, dunque, dalle elezioni presidenziali di febbraio (inizialmente previste per dicembre 2020 ma rimandate per diverse problematiche organizzative). Un’elezione quanto più democraticamente svolta e con risultati accettati dalla maggioranza dei partiti in gioco potrebbe consegnare una nuova speranza di pacificazione al Paese. Diversamente, però, un’elezione i cui risultati vengano contestati diventerà sicuramente l’ennesima occasione sprecata spaccando, ulteriormente, il Paese tra centro e periferia: la “tempesta perfetta” per al-Shabaab.
 
7)LIBIA
Le coalizioni in lotta non combattono più ma la pacificazione pare ancora lontana. Il cessate il fuoco, firmato il 23 ottobre tra l’Esercito nazionale libico (LNA) dal gen. Haftar -sostenuto da Egitto, Emirati Arabi Uniti e Russia- e il Governo di Accordo Nazionale (GNA) -sostenuto dalla Turchia- guidato da al-Sarraj, è, infatti, ancora lontano dall’esser attuato. L’accordo prevedeva, infatti, l’espulsione degli eserciti stranieri e l’interruzione di ogni addestramento militare straniero. Eppure entrambe le parti hanno continuato ad accettare l’aiuto estero, ciechi di fonte a quanto firmato ad ottobre. Le stesse potenze straniere, inoltre, sembrano non voler abbandonare lo scacchiere libico, considerato fin troppo centrale per i futuri destini geopolitici. Al tempo stesso, nuovi colloqui sembrano ormai essersi arenati dopo che il GNA si è opposto alla richiesta del LNA di un governo di unità nazionale che includesse anche esponenti pro-Haftar. Il quadro di stallo sembra esser confermato anche dai tentativi -falliti- di pacificazione dell’ONU, trovatosi bloccato, a novembre, nella designazione dei 75 libici chiamati a concordare un governo di unità e una tabella di marcia per le elezioni. Lo stallo, certamente, non farà bene al Paese ancora alla ricerca di un destino nel post- Gheddafi.
 
8)IRAN-USA
Il 2020 si è aperto con l’uccisione del generale Suleimani portando le tensioni tra Washington e Teheran ai livelli del ‘79. Nonostante ciò, la risposta iraniana è stato piuttosto limitata ed entrambe le parti hanno deciso, in maniera piuttosto implicita, di evitare un’ulteriori intensificazione della crisi. La nuova amministrazione Biden potrebbe, ora, cercare di porre un freno alla questione e la designazione di William Burns a capo della CIA ne è certamente prova dei sentimenti riconciliatori di Washington. Burns, diplomatico di carriera, era, infatti, a capo della delegazione americana per la negoziazione dell’accordo sul nucleare (JCPOA) e potrebbe, assieme a molti esponenti dell’amministrazione Biden, vedere di buon occhio un riavvicinamento a Teheran. Nonostante ciò, l’ultimo sgarro dell’amministrazione Trump (la designazione degli Houthi come organizzazione terroristica) potrebbe complicare, e non poco, i colloqui tra le due parti. Inoltre, il regime sanzionatorio imposto dall’amministrazione uscente, che ha duramente messo in ginocchio Teheran, non sarà facile da cancellare e richiederà una sequenza di passaggi e colloqui lunghi e complicati che potrebbero, però, portare al ripristino di quanto firmato a Vienna.
 
9)RUSSIA-TURCHIA
Ufficialmente non sono in conflitto e nessuna crisi sembra interessarli, ma la tensione tra Ankara e Mosca è palpante. Le tensioni sono venuti a galla già nel 2015 quando l’abbattimento di un jet russo, avvenuto al confine turco-siriano, ha mostrato tutte le contraddizioni delle relazioni tra Ankara e Mosca, contraddizioni confermate anche nel 2020 quando diversi raid delle forze siriane, appoggiate da Mosca, hanno colpito gli insediamenti dell’esercito turco e dei suoi alleati in Siria. Sino ad ora i due Presidenti Erdoğan e Putin sono stati piuttosto abili a gestire le diverse situazioni e i conseguenti imbarazzi internazionali senza scontrarsi, almeno pubblicamente, l’uno contro l’altro. Ad ora, infatti, sembra che le due potenze abbiano optato per una guerra proxy appoggiando, di volta in volta, lo schieramento opposto all’altro. In Siria, Ankara è tra i più feroci antagonisti stranieri del presidente Bashar al-Assad (alleato di Mosca) e sostiene convintamente i ribelli. Nel conflitto del Nagorno-Karabakh, Mosca appoggia le istanze armene, mentre Ankara sostiene diplomaticamente e militarmente l’Azerbaigian. In Libia, invece, Putin ha scelto il gen. Haftar mentre Erdoğan sostiene il Governo di Accordo Nazionale di Serraj.
Nonostante questa indubbia tensione, i legami tra Mosca ed Ankara, incredibilmente, non sono mai stati così forti. Alimentati da un certo scetticismo da parte delle potenze occidentali, Putin ed Erdoğan si sono trovati a firmare diversi accordi bipartisan che hanno trovato il loro climax nell’acquisizione, da parte di Ankara, del sistema missilistico russo S-400. Questi legami, tuttavia, potrebbero scontrarsi con la cruda realtà dello scacchiere geopolitico e, solamente i mesi futuri, potranno dirci se Mosca ed Ankara possono sopportare la “prova del nove” oppure tutto degenererà in un’altra crisi internazionale.
 
10)CAMBIAMENTO CLIMATICO
Non è facile individuare il connesso tra guerre e cambiamento climatico poiché ogni stato gestisce, con output diversi, gli effetti della sfida posta dal climate change. Quello che è, dunque, certo è che alcuni stati non hanno gli stessi risultati di altri e, in alcuni casi, il cambiamento climatico produce carestie, pestilenze e tensioni interregionali e interconfessionali. Il continente più colpito pare, ancora una volta, essere l’Africa dove nel nord della Nigeria la siccità ha intensificato i combattimenti tra pastori e agricoltori e, sul Nilo, Egitto ed Etiopia si contendono le acque tra minacce di azioni militari e costruzioni di gigantesche dighe. Anche gli altri continenti, tuttavia, non paiono esenti da tensioni. In particolare, gli scienziati delle Nazioni Unite stimano che un aumento della temperatura locale di 0,5 gradi Celsius possa essere associato, in media, a un aumento dal 10 al 20% del rischio di conflitti nel continente. Se questa stima fosse accurata, il futuro certamente pare molto buio soprattutto, in considerazione, del recente aumento delle emissioni prodotte da molti paesi industrializzati o meno. La speranza ultima passa, nuovamente, dagli Stati Uniti che avrebbero posto la crisi derivante dal climate change al vertice dell’agenda presidenziale, consci che da questa sfida passerà molto del futuro di Africa, Medio Oriente e America del Sud.
 
 
Fonte: Crisis Group
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Come rimanere sempre aggiornati sulle novità in tema di spostamenti tra Paesi (di Maria Benvenuto)

20/1/2021

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In questo particolare periodo storico, stiamo assistendo alla limitazione di attività che fino a poco tempo fa avremmo dato per scontate. Tra queste, la possibilità di spostarsi da un Paese all’altro. Il timore di non riuscire a tenere sotto controllo l’andamento della pandemia ha portato gli Stati a modificare le regole di accesso al proprio territorio. In alcuni casi, si è optato per la totale chiusura dei confini; in altri, si è scelto di vietare l’entrata a chi proviene da Paesi considerati ad alto rischio di contagio.
Tali regole sono oggetto di continue modifiche poiché ogni Paese può decidere con che tempistiche e secondo quali modalità accettare i cittadini stranieri, basandosi sull’evoluzione della situazione sanitaria mondiale. Di conseguenza, le aziende che hanno attività all’estero e che necessitano di inviare personale in loco devono regolarmente consultare le fonti governative degli Stati di interesse, al fine di accertarsi che i propri operatori siano in possesso degli ultimi requisiti di entrata da essi disposti.
Un supporto, in questo senso, arriva da IATA, l’Associazione Internazionale per il Trasporto Aereo, che ha proceduto alla realizzazione di una mappa interattiva e sempre aggiornata, all’interno della quale sono stati riportati i requisiti di entrata previsti da ogni Paese.
Le informazioni in essa contenute provengono dalla banca dati Timatic, la stessa a cui fanno riferimento le compagnie aeree e gli agenti di viaggio quando devono fornire indicazioni circa la documentazione necessaria per potersi spostare da uno Stato a un altro. Per quanto riguarda, infine, l’affidabilità di tali dati, va ricordato che IATA vanta un network di più di 1800 informatori, membri di agenzie governative, ai quali viene richiesta la conferma di ogni notizia prima di poterla caricare nel database.


La mappa è liberamente consultabile al seguente indirizzo: https://www.iatatravelcentre.com/world.php.
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ANNA VILLANI NUOVO REFERENTE ITALIANO WIS - WOMEN IN SECURITY

20/1/2021

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Anna Villani, Security Manager UNI 10459 e Membro italiano della Security Commission di CFPA-Europe, è il nuovo Referente WIS - WOMEN IN SECURITY del capitolo italiano di ASIS International.
 
La mission di ASIS WIS Council è di ispirare le Donne di tutto il mondo a fare squadra e divenire leader di spicco nel mondo della Sicurezza all’interno delle proprie organizzazioni sia pubbliche che private, di qualsiasi settore e dimensione.
 
WIS è attualmente composta da oltre 600 professioniste di grande spessore ed consolidata expertise, che operano su programmi  di respiro sia europeo che mondiale.
 
“E’ per me un grandissimo onore – evidenzia Villani – aver ricevuto l’incarico di promuovere la diffusione di questo importante progetto di ASIS International dedicato alla Community Femminile delle Security Professionals nel nostro Paese. Desidero ringraziare il Presidente del Chapter Italy, Samuele Caruso, per avermi assegnato questo prestigioso ruolo, che ricambierò con grande impegno, passione e dedizione”.
 
Sarà una bellissima opportunità di crescita personale, professionale, formazione e networking in ambito nazionale ed internazionale - continua Villani -  caratterizzata da grandi momenti di condivisione e voglia di “fare squadra”, che vedrà protagoniste le colleghe di tutte le altre prestigiose Associazioni di Security ed Organizzazioni che come noi condividono gli stessi valori e la stessa visione strategica di Empowerment dell’Universo Femminile nella Sicurezza.
 
Per tutte le colleghe che fossero interessate al programma WIS, di seguito la mail dedicata per avere maggiori e più dettagliate informazioni: anna.villani@asisitaly.org
 
Chi è Anna Villani - Security Manager certificato UNI 10459:2017 con esperienza ventennale nel mondo della physical security e della sicurezza integrata. E’ Liason ASIS WIS - Woman in Security, Italy Chapter. E’ membro dell’IAHSS - International Association for Healthcare Security & Safety e della Commissione Security della CFPA-Europe – Confederazione delle associazioni europee di Fire Prevention, Security & Natural Hazards, nonché  Presidente dell’APC Security & Safety di AIAS Sicurezza.

Link: https://www.snewsonline.com/notizie/attualita/asis_anna_villani_nuovo_referente_italiano_wis_women_in_security-8089 


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Di seguito un interessante meeting proposto dal comitato WIS internazionale. 
Si segnala che l'evento sarà tenuto in lingua francese.
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YOUNG PROFESSIONAL: la nuova sfida da cogliere in ASIS (di Nicola Bressan)

20/1/2021

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In ASIS International crediamo che il futuro sia brillante, colmo di occasioni e challenging. Così challenging che solamente l’associazionismo, l’unione fra colleghi, possa essere la miglior risposta ad un mondo che muta i suoi schemi passati. Negli anni della pandemia e del -speriamo presto- scenario post-pandemico, ASIS Italy vuole puntare sui giovani italiani e italiane pronti a rimboccarsi le maniche e plasmare il futuro della security italiana. Per questo motivo, nel 2021 vogliamo portare il programma Young Professional al centro del nostro capitolo per dargli nuova forza e nuova linfa creando un network di giovani lavoratori e studenti che si accingono a muovere i primi passi nel settore della Security. I nostri giovani potranno, in questo modo, entrare in contatto con i più esperti manager della security presenti nel capitolo e creare il proprio network lavorativo.
Associarsi ad ASIS International è molto facile: basta semplicemente collegarsi al sito e seguire tutti i passaggi (link)
Il costo per i giovani iscritti all’università (laurea, master o corso) è veramente irrisorio: 20$ (anziché i 195$ per i professionisti). Ovvero il costo di, più o meno, due pizze a domicilio! Iscriversi ad ASIS, inoltre, permette di entrare nel network dell’associazione mondiale che conta oltre 36mila iscritti a livello globale ed entrare attraverso certificazioni, newsletter mensili, webinars, corsi e workshops. 
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    Autori

    Presidente ASIS Italy:
    Samuele Caruso

    Young Professional Liasion, Capo Redattore: Nicola Bressan

    Referente Women in Security: Anna Villani

    In Redazione: Andrea Zanchini; Gabriela Montero; Luca Dal Boni; Ilaria Lezzi; Maria Benvenuto; Francesco Staro; Domenico Intagliata.

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